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Cos’è uno stadio? Molti lo descriverebbero quasi certamente in modo semplice e pratico: come un edificio progettato per ospitare grandi eventi e accogliere un copioso e costante afflusso di pubblico in condizioni di piena sicurezza.
Prima ancora di questo, però, lo stadio è un’opera: architettonica, perché mette in luce la perizia e l’esperienza di una sinergia di professionisti, impegnati a realizzare una struttura monumentale nelle dimensioni e spettacolare nell’estetica; culturale, perché è destinato a contribuire alla storia e alla percezione del luogo in cui sorge; sociale, perché è concepito per favorire la compartecipazione della popolazione, ossia per “fare comunità”.
A ormai soli quattro giorni dalla celebrazione del quarantennale dalla posa della prima pietra dell’ex-Stadio Brianteo, oggi U-Power Stadium, la nostra analisi della struttura procede da prospettive e punti di osservazione diversi.
Abbiamo finora parlato del progetto e del ruolo che l’edificio ha avuto e continua ad avere nei media e nella vita delle persone, siano essi atleti, artisti, scrittori, giornalisti, fotografi o semplicemente membri del pubblico.
Ma se volessimo osservare il Brianteo dal punto di vista artistico, cosa vedremmo?
Con i nostri occhi – occhi di ingegneri, architetti, geometri, tecnici – quasi certamente uno dei pochissimi esempi italiani di architettura sportiva moderna in stile tardo-brutalista, e quindi una sorta di “mosca bianca” nel panorama degli edifici pubblici presenti sul suolo nazionale. E attenzione, il Brutalismo assume oggi un significato tutto nuovo, decisamente più positivo rispetto al passato: si tratta infatti di uno stile architettonico che si focalizza prima di tutto sulla funzione degli edifici, sulla forza delle forme rispetto al mero impatto estetico. È lo stile del cemento a vista tanto amato da Le Corbusier, delle finiture grezze, dei volumi imponenti e massicci, ma anche della chiarezza formale delle strutture, quasi sempre concepite per dare vita a un senso di unità e di inclusione.
Ma questo è soltanto il nostro punto di osservazione.
Scopriamo invece che, quando il Brianteo viene filtrato dalla lente dell’arte figurativa, diventa fluido e malleabile come un’inquadratura in soggettiva. E per questo abbiamo chiesto di interpretarlo visivamente all’artista e illustratrice Cristina Cassanmagnano, già autrice della serie “Architetture di Carta” e conosciuta anche con il nome d’arte C. Cassan.
Cristina conosce il valore artistico dell’architettura e sa coglierlo in ogni edificio. Dopotutto, nel corso della sua carriera ha collaborato con svariati studi di progettazione e di design prima di dedicarsi esclusivamente all’insegnamento e alla propria arte, l’illustrazione.
Così come per tutte le opere che scandiscono la già citata raccolta “Architetture di Carta”, anche il Brianteo si trasforma da mastodontica opera in cemento armato a flessuoso tratto su carta, narrandosi in modo inedito e intimo, circoscritto a quel piccolo mondo racchiuso che è la pagina, ma anche collettivo – attraverso il bianco e il rosso, i colori-simbolo della città di Monza.
È così che vogliamo raccontare oggi lo U-Power Stadium.
Grazie a Cristina per aver reso possibile questo approccio, e per aver dato forma a un pezzo così importante della storia monzese – e italiana – utilizzando la carta, gli inchiostri, la penna stilografica, le matite.
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