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Che l’imprevedibile rivoluzione causata dalla pandemia di Coronavirus dello scorso inverno abbia procurato danni ingenti a moltissimi settori dell’economia, inclusa l’edilizia, è ormai cosa nota. Ciò su cui ora si riflette sono invece le modalità ideali per risollevarsi dalla crisi alla luce di quanto avvenuto, trasformando un momento di importante criticità in un’opportunità di crescita.
In particolare per quanto riguarda il settore edile, che rappresenta il 13% del PIL globale italiano, il COVID-19 diventa ora la spinta per progettare e sperimentare layout abitativi inediti e rispondere all’esigenza crescente di spazi domestici e professionali più salubri e in comunicazione sempre più marcata e virtuosa con la natura.
È proprio in questo contesto che l’economia circolare potrebbe giocare un ruolo importante, tanto che secondo una ricerca americana condotta di recente dal World Green Building Council l’81% delle imprese edili specializzate in additivi e prodotti chimici punta ora, senza riserve, a materiali e prodotti totalmente riciclabili.
La progettazione di edifici sempre più green ed ecosostenibili si rivela oggi la direttrice chiave su cui condurre l’edilizia del futuro. La massima attenzione andrà dunque posta alla sostenibilità ambientale nel suo senso più ampio, sia per quanto riguarda le nuove costruzioni che nella ristrutturazione di quelle preesistenti.
Uno dei trend predominanti sarà quello delle Net-Zero Emission, ossia relativo alla realizzazione di prodotti le cui emissioni di CO2 e gas serra sono pari a zero, tanto che si stima che entro il 2050 sia i nuovi edifici che le riqualificazioni, e addirittura le infrastrutture, emetteranno il 40% di CO2 in meno rispetto ai parametri attuali.
È però anche importante tenere a mente che l’evoluzione dell’edilizia post-COVID non si limiterà alla sostenibilità delle costruzioni, ma si estenderà anche a un rivoluzionamento quasi totale degli spazi interni, in particolar modo quelli professionali.
Gli uffici e i luoghi di rappresentanza, negli anni Ottanta e Novanta dominati da cubicoli e separazioni interne, si faranno più ampi, più larghi, più aperti. Si punterà sempre di più al coworking inteso come filosofia di lavoro prima ancora che modalità operativa, all’automatizzazione e a stanze sempre facilmente igienizzabili così da garantire un grado implementato di salubrità.
La ragione è semplice: il “caso Coronavirus” ha rappresentato una sorta di scossone globale e trasversale per tutti i settori, e sta generando ora una modifica radicale della vivibilità urbana a tutto tondo.
In questo contesto, l’economia circolare – ossia finalizzata a diminuire radicalmente gli sprechi e dunque l’inquinamento – è inevitabilmente un player cruciale, tanto che già ora non rappresenta più un modello opzionale per il costruttore ma un requisito fondamentale con un obiettivo duplice: garantire una qualità della vita superiore agli abitanti e contribuire attivamente alla lotta al cambiamento climatico.
In termini pratici, la riduzione delle emissioni di CO2 negli edifici si baserà su scelte progettuali ponderate e su strumenti e approcci fondamentali come i CAM (Criteri Ambientali Minimi), che permetteranno di stabilire la soglia al di sotto della quale un materiale è insostenibile dal punto di vista ambientale.
Tra i prodotti e le soluzioni che prenderanno sempre più piede figurano senza dubbio l’ormai inevitabile calcestruzzo drenante, indispensabile per sostenere l’impatto delle sempre più frequenti “bombe d’acqua” favorendone il corretto riassorbimento da parte del terreno; il calcestruzzo organico, che secondo l’Università del Colorado non è soltanto green ma anche in grado di migliorare la struttura dell’edificio nel suo complesso; gli impianti di aerazione evoluti per favorire la sanificazione regolare gli ambienti; gli impianti di connessione ultraveloce all’interno di smart building tecnologicamente sempre più avanzati.
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