PILLOLE DI ARCHITETTURA

Municipio Vimodrone

Vimodrone (MI)
Progettisti: Studio Caruso_Mainardi Architetti
Fotografie: Paolo Rosselli

Tra le opere pubbliche più emblematiche della stagione architettonica lombarda a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, il Municipio di Vimodrone, progettato dallo studio Caruso Mainardi Architetti, rappresenta un episodio di particolare rilevanza per chiarezza concettuale, forza espressiva e radicalità delle scelte compositive. Datato 1985, l’edificio nasce all’interno del percorso ordinario di progettazione delle opere pubbliche, superando tutte le verifiche tecnico-amministrative. Realizzato dall’Impresa Schiavi S.p.A., il complesso si colloca in una posizione urbana strategica, all’ingresso del comune lungo la Strada Statale Padana, assumendo fin dall’impianto un ruolo di cerniera tra infrastruttura, tessuto residenziale e spazio civico. L’intervento è stato concepito come dispositivo urbano, fondato su un equilibrio rigoroso tra volumi costruiti e spazio aperto. Come afferma l’architetto Alberto Caruso, «il progetto non era pensato solo per il pieno della costruzione, ma soprattutto per il vuoto»: la piazza antistante, modellata come cavea pubblica, dotata di sedute per manifestazioni collettive, diviene così il centro simbolico e compositivo dell’intero organismo architettonico, assumendo un ruolo gerarchicamente prioritario rispetto all’edificio.

Dal punto di vista planivolumetrico, il Municipio si articola in corpi distinti ma fortemente interrelati, chiaramente leggibili sia in pianta sia in alzato. Il volume principale degli uffici si sviluppa secondo un impianto ortogonale, mentre la sala consiliare emerge come volume cilindrico autonomo, innestato nel sistema edilizio ma dotato di una propria riconoscibilità formale e simbolica. Questa scelta introduce nel paesaggio urbano una geometria pura e rara, la forma circolare, che richiama esplicitamente il tema della centralità istituzionale. Nelle parole del progettista, «la forma rotonda richiama una centralità: il Consiglio comunale è il cuore della democrazia locale».

Uno dei caratteri più evidenti dell’opera è la trasparenza, intesa sia come qualità fisica sia come principio funzionale. Il piano terra completamente vetrato consente una continuità visiva e percettiva tra interno ed esterno, favorendo l’attraversamento dell’edificio dalla piazza all’area retrostante. La distribuzione interna è organizzata secondo una chiara gerarchia funzionale verticale, basata sul grado di accessibilità pubblica: al piano terra sono collocati i servizi aperti alla cittadinanza; al primo livello trovano sede gli uffici del sindaco e della segreteria; all’ultimo piano si attestano funzioni a carattere prevalentemente interno. Come sottolinea Caruso, «man mano che si sale l’edificio diventa sempre più istituzionale, mentre il rapporto con il terreno è interamente caratterizzato dal rapporto con il pubblico».

Per quanto riguarda l’aspetto costruttivo e materico, il Municipio di Vimodrone assume il cemento armato a vista come linguaggio architettonico consapevole, affiancato all’uso del laterizio e delle tavelle di cotto. L’alternanza tra superfici opache e trasparenti, tra massa e leggerezza, rafforza la leggibilità dei volumi e la loro autonomia formale, restituendo un’immagine severa ma coerente con il carattere pubblico e istituzionale dell’edificio.

Gli spazi interni, e in particolare la sala consiliare cilindrica, sono definiti da una sezione controllata e da un’organizzazione funzionale rigorosa: gradonate per il pubblico, disposizione semicircolare dell’assemblea, attenzione ai temi dell’acustica e dell’illuminazione artificiale. Anche qui la forma è diretta conseguenza della funzione e del significato civico dello spazio.

Fin dalla sua realizzazione, l’edificio è stato oggetto di attenzione critica e interesse disciplinare, visitato da architetti, docenti e studenti. Parallelamente, la costruzione ha generato forti contrasti all’interno delle istituzioni comunali, rivelando una frattura prevalentemente culturale, più che politica, tra posizioni conservative e aperture verso l’innovazione architettonica. In particolare, l’uso dichiarato del cemento armato a vista e la radicalità dell’impianto formale hanno contribuito a rendere l’opera divisiva.

La decisione, assunta da una successiva amministrazione, di demolire il Municipio, rappresenta uno degli episodi più controversi della storia recente dell’architettura pubblica italiana. Giustificata formalmente con presunte non conformità normative, la demolizione risponde a motivazioni di natura culturale e ideologica, culminando in un atto che ha comportato la perdita di un’opera di alto valore urbano e architettonico. La sostituzione dell’edificio con un semplice spazio verde ha cancellato l’architettura di un dispositivo civico complesso, capace di costruire relazioni tra istituzione, cittadinanza e spazio pubblico. Il Municipio di Vimodrone rimane oggi una architettura assente, ma ancora centrale nel dibattito sul destino del patrimonio moderno e sulla responsabilità culturale delle trasformazioni urbane.

Negli anni successivi alla demolizione dell’edificio progettato da Caruso Mainardi, la funzione municipale non è stata ricostituita attraverso un nuovo organismo architettonico unitario e riconoscibile, ma è stata invece ricollocata in una sede amministrativa ordinaria, priva di una chiara identità spaziale e simbolica. Contestualmente, l’area precedentemente occupata dal Municipio è stata progressivamente riconfigurata attraverso interventi di carattere residuale, che hanno privilegiato soluzioni funzionali minimali e spazi aperti di scala ridotta, senza restituire alla città un vero luogo civico strutturato. Il confronto tra l’opera di Caruso Mainardi e l’assetto attuale evidenzia con chiarezza una perdita architettonica e urbana di notevole entità. Il Municipio demolito costituiva un dispositivo pubblico complesso, capace di articolare spazio istituzionale, piazza, trasparenza e rappresentatività, restituendo alla comunità un’immagine forte e consapevole dell’istituzione. L’intervento successivo, al contrario, si limita a soddisfare esigenze funzionali immediate, rinunciando a qualsiasi ambizione compositiva, simbolica o urbana. Sotto il profilo architettonico, urbano e culturale, l’edificio progettato da Caruso e realizzato dall’impresa Schiavi si configurava in maniera più chiara nell’impianto, più rigoroso nel linguaggio, più avanzato nella concezione del rapporto tra istituzione e spazio pubblico. La sua demolizione appare dunque profondamente irrazionale, un atto che ha sacrificato un’architettura di qualità in nome di una visione riduttiva e regressiva del progetto pubblico. Il Municipio di Vimodrone rimane così un caso emblematico di autodistruzione del patrimonio architettonico moderno, in cui la rinuncia alla complessità e alla qualità dello spazio civico ha prodotto un vuoto non solo fisico, ma anche culturale e simbolico, difficilmente colmabile dagli interventi successivi.