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Un ricordo dell’architetto Leonardo Benevolo: la sua opera ha abbracciato metà del Novecento

Urbanista, storico dell’architettura e soprattutto architetto: Leonardo Benevolo, scomparso un mese fa all’età di 93 anni, è stato un punto di riferimento per generazioni di professionisti. Laureatosi in Architettura a Roma nel 1946, ha insegnato l’arte del costruire negli atenei più prestigiosi d’Italia – Palermo, Firenze, Venezia e nella stessa Capitale – e le sue geniali intuizioni, che in molti considerano rivoluzionarie soprattutto per la cultura del tempo, hanno trovato spazio in un’infinità di scritti diffusi e tradotti in vari Paesi del mondo.

La fama dell’architetto Benevolo è stata meritatamente internazionale, tanto da portarlo alla progettazione e costruzione di vari edifici e siti di pregio: il centro storico di Bologna, la sua Fiera, il quartiere di San Polo a Brescia, quello de La Piantata a Urbino – solo per citarne alcuni.

Schiavi Spa ha avuto l’onore e la fortuna di collaborare con l’architetto Benevolo alla stesura del PGT del Comune di Lovere, in provincia di Bergamo. Con lui ha studiato la trasformazione urbana di un territorio fortemente radicato nelle sue tradizioni culturali e naturali. L’architetto, d’altro canto, conosceva molto bene l’area in questione, poiché a pochi chilometri aveva deciso di stabilirvisi in via permanente (la sua abitazione e il suo studio di architettura si trovano a Cellatica), e nessuno meglio di un professionista con il suo talento e la sua esperienza avrebbe saputo dare vita a un progetto che doveva necessariamente tenere in considerazione infiniti fattori, per risultare di successo.

Da sempre, l’architetto Benevolo era convinto che l’architettura e le città dovessero essere costruite non tanto nel rispetto del gusto del progettista, quanto sui bisogni e le necessità degli abitanti. Un modo, il suo, di considerare l’architettura nella sua estensione più ampia e generosa, e che fortunatamente ha trovato terreno fertile nella mente e nell’ispirazione di tanti giovani architetti che lo hanno avuto come maestro e mentore.

Diceva l’architetto Benevolo che “faccio l’architetto” era un’espressione inesatta, da sostituire con “il mio mestiere è l’architettura”.

E ancora: “L’architettura è una cosa difficile da avvicinare e io ho tentato di farlo con vari mezzi: progettare edifici, disegnare piani regolatori, collaborare alla redazione di leggi, scrivere libri o articoli di giornale, insegnare la storia dell’architettura. Non ho potuto ancora scegliere di fare una sola di queste cose, perché lo scopo che questa disciplina si pone, vale a dire migliorare anche solo di poco l’ambiente fisico in cui vive la gente, è troppo importante e difficile per tentare di raggiungerlo in un unico modo”.

Tale era l’importanza dell’apporto dell’architetto Benevolo alla cultura e alla territorialità italiana, che nel 2003 venne insignito della Medaglia d’Oro ai Benemeriti della Cultura e dell’Arte. Mai onorificenza fu più meritata.

Ci piace ricordarlo intento a osservare la città di Brescia dal giardino della sua casa di Cellatica, che lui stesso aveva progettato. Si spingeva fino al bordo di un grande prato terrazzato, al limite di una scarpata dalla pendenza dolce.

Ci piace ricordarlo anche con un’altra citazione: “Occorre essere pazienti. L’architettura non è un’attività che si realizza producendo cose dall’oggi al domani”. Un consiglio importante, quello di permettere alla contemplazione di trasformarsi in azione.